cucina,ricette La Cucina Economica: da gazzettagastronomica.it 28 novembre 2012

mercoledì 28 novembre 2012

da gazzettagastronomica.it 28 novembre 2012


Istanbul: pane e riflessioni


Io e mio marito abbiamo fatto una passeggiata nei quartieri Fener-Balat durante il nostro primo viaggio a Istanbul a novembre.

La notte precedente abbiamo mangiato in un posto a Sultanahmet dove ci hanno servito una specie di pane che sembrava una pagnotta industriale, croccante fuori ma pressoché vuoto dentro.
Era, a giudicarlo dall’aspetto, esattamente il tipo di pane che non avrei mai mangiato volentieri qui in Italia o a casa negli Stati Uniti.
Girando nei vicoli di Fener-Balat, invece, ho scoperto che questo pane è prodotto quotidianamente, migliaia di pagnotte, nei tantissimi piccoli fornai che dominano le strade da noi percorse. Si può sempre trovare del pane caldo facendo una passeggiata nel quartiere perché ovunque vai, c’è pane appena sfornato.
Ancora più incredibile è la felicità che i proprietari di forni e negozi vari ti dimostrano invitandoti a fotografare il loro lavoro, mentre formano, infornano e sfornano il pane, che metteranno in grandi ceste, caricate su furgoni o motorini per essere poi consegnato praticamente ovunque dai negozietti, ai venditori di kebab, fino ai grandi ristoranti.
Questi quartieri ad alta densità di popolazione assomigliano a quello che immagino fosse l’Europa e gli Stati Uniti sessant’anni fa da un punto di vista della filiera della produzione alimentare.
Negli ultimi anni, un paio di cose sul pane mi sono rimaste in testa. All’inizio della Primavera Araba quando le proteste ed agitazioni attraversarono il MedioOriente, parlai con una donna egiziana che mi spiegò l’importanza del pane per gli egiziani e quanto la disponibilità del pane e la tutela del sistema dei sussidi per lo stesso, fosse decisiva.
Nel 2006, durante la crisi in Libano, il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite ha fornito farina ai forni libanesi perché nel paese si non fermasse la produzione del pane. Mi ricordo che allora pensai che fosse una cosa intelligente. Più avanti mi accorsi di aver sottovalutato mostruosamente il ruolo del pane nella società libanese. Del resto, vengo da un paese che non ha un’alta considerazione dei carboidrati.
Camminando in questi quartieri di Istanbul, capisco l’importanza del pane  per questo paese. Il pane non è solo un alimento. E’ un mestiere per il fornai, un reddito per i proprietari dei forni, e un lavoro per i ragazzi che fanno le consegne. Rappresenta una sorte di stabilità, di spina dorsale dei quartieri.
Il forno è onnipresente quanto il tè e la religione (e i gatti). Mi sono chiesta come questi quartieri si cambieranno quando diventeranno più moderni.
Negli Stati Uniti, e altri paesi dell’Occidente c’è una lotta contro il cibo che tanti si sono convinti sia una lotta per il cibo.
Siamo viziati.
Scegliamo cosa mangiare e a volte saltiamo pasti. Abbiamo il corraggio di lamentarci dell’inferiorità di un alimento rispetto ad un altro. Scriviamo articoli e saggi su quanto è nociva la Nutella e le patatine fritte. Abbiamo così tanto da mangiare che ci possiamo permettere di usare cibo ‘buono’ per fare junk food.
Per combattere gli eccessi  inventiamo diete che escludono intere categorie di cibo. Rinunciamo al pane in quanto sono calorie superflue che mettono a rischio la linea e la salute.
Trattiamo cibo di ogni tipo come trattiamo i beni durevoli e non-durevoli.
Abbiamo perso di vista la realtà. Non parlo in termini di capitalismo, termini economici, o di salute, ma parlo in termini di soppravvivenza e dell’essenziale significato della vita stessa.
Sì, in questa formula è difficile ignorare il ruolo del supermercato o l’impatto di cattive scelte alimentari sulla nostra salute. Ma è altrettanto difficile capire come ci siamo “evoluti” così tanto da perdere contatto o addirittura rifiutare una cosa fondamentale come un pezzo di pane.
Siamo andati oltre. Ci consideriamo troppo superiori per mangiare il pane.
Dopo la nostra passeggiata, mentre lasciavamo Fener-Balat, volevo solo mangiare quel pane che avevo schifato la notte precedente per poter dimostrare quanto apprezzo le persone che lo fanno tutti i giorni, quanto apprezzo chi si guadagna da vivere con il pane, e per riallacciare il mio contatto con la realtà.
Foto e testo di Kristina Gill.

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